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Cannabis: quando un semplice riferimento può essere fuorviante

13/05/2020

Il Tribunale UE con la recentissima sentenza del 12 dicembre 2019, emanata nell’ambito del procedimento T-683/18, è intervenuto a regolare una questione molto interessante, ossia la registrabilità come marchio unico europeo (MUE) di un segno grafico contenente la stilizzazione di una foglia di cannabis che, come è a tutti noto, nella cultura moderna, rappresenta il simbolo mediatico della marijuana.

Il marchio depositato, oggetto del prefato giudizio, nelle intenzioni della proponente, avrebbe dovuto, essere utilizzato per contraddistinguere prodotti e/o servizi riguardanti il settore alimentare e della ristorazione, che nulla hanno a che fare col mondo delle droghe leggere.

Il Giudice Europeo, però, dopo un’attenta analisi della vicenda de qua, e che verrà di seguito illustrata, è arrivato alla conclusione di non ritenere possibile la registrazione di un segno contenente la denominazione cannabis e/o la stilizzazione delle foglie della pianta medesima, attesa l’oggettiva evidenza che lo stesso riflette elementi sintomatici contrari all’ordine pubblico e al buon costume.

Il Tribunale adito, nel suo processo di valutazione, giunge a tale conclusione in ragione della considerazione ermeneutica che il segno de quo possa venir percepito dal pubblico come indicatore del fatto che i prodotti e/o servizi contrassegnati dal suddetto marchio contengano sostanze stupefacenti, nel caso di specie marijuana, il cui uso ed il cui consumo sono considerati illegali in molti Stati Membri dell’Unione Europea

La vicenda oggetto di giudizio

La signora Santa C. di professione imprenditrice, nel 2016, ha depositato presso l’EUIPO (Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale) una domanda di registrazione di marchio unico europeo avente ad oggetto il marchio figurativo “CANNABIS STORE AMSTERDAM” per le classi 30, 32 e 43 della Convenzione di Nizza; classi queste che contraddistinguono prodotti e servizi appartenenti al settore alimentare ed al settore della ristorazione.

Nel settembre del 2017, l’esaminatore dell’EUIPO incaricato di svolgere le verifiche preventive sul segno distintivo depositato dalla signora C., ha riscontrato la presenza di alcuni elementi caratterizzanti un impedimento assoluto alla registrazione del marchio de quo.

L’esaminatore, ha infatti espressamente rilevato che il segno distintivo in questione, risulta composto da un elemento denominativo composto di tre termini: “cannabis”, “store” ed “Amsterdam”, nonché da un elemento figurativo costituito da tre file di foglie verdi stilizzate, corrispondenti alla rappresentazione grafica della foglia di cannabis con sotto uno sfondo nero.

Tale accostamento di parole e simboli, è apparso, a giudizio dell’esaminatore, del tutto idoneo a suscitare nel pubblico l’idea che i prodotti e i servizi offerti dalla signora C. contenessero sostanze stupefacenti e che e che di conseguenza il marchio stesso fosse foriero di ingenerare nella mente dei consumatori un messaggio negativo a favore dell’uso e del consumo di marijuana, sicché alla luce di tale eseguita considerazione ha ritenuto il segno distintivo esaminato contrario all’ordine pubblico e, per ciò stesso, ha respinto la domanda di registrazione avanzata dall’imprenditrice.

La signora C., a seguito del rigetto della domanda da parte dell’esaminatore, ha proposto ricorso all’EUIPO stesso e ha sostenuto che il proprio marchio, in nessun caso può essere considerato riconducibile alla cannabis intesa come marjiuana e che la scelta della parola “Amsterdamaccostata alle parole “Cannabis” e “store” si riferisce unicamente e semplicemente all’origine della pianta cannabis che essa adopera nella propria attività, nonché allo stile e all’atmosfera della capitale olandese, alla quale dice di essersi ispirata per la prestazione dei propri servizi di ristorazione e per l’allestimento dei propri punti vendita.

La Commissione EUIPO preposta ad esaminare il ricorso, nonostante le motivazioni esposte dalla signora C. volte ad escludere un collegamento tra il proprio marchio e la marijuana, ha confermato il verdetto dell’esaminatore e ha respinto la domanda proposta dall’imprenditrice e ritenuto il marchio del tutto contrario all’ordine pubblico.

L’Organo EUIPO ha altresì affermato che, contrariamente a quanto sostenuto dalla signora C., l’utilizzo del termine “cannabis” accostato ai termini “Amsterdam” e “store” può attendibilmente indurre i consumatori a ritenere che i prodotti e i servizi commercializzati dall’imprenditrice, corrispondano a quelli offerti da un coffee shop di Amsterdam, visto il significato che, in inglese, i predetti termini assumono, se associati.

LA CONTRARIETÀ DI UN SEGNO DISTINTIVO ALL’ORDINE PUBBLICO E AL BUON COSTUME RAPPRESENTA INFATTI UNO DEGLI IMPEDIMENTI ASSOLUTI ALLA REGISTRAZIONE DI UN MARCHIO.

Tali impedimenti sono rilevabili d’ufficio dall’EUIPO e sono disciplinati dall’articolo 7 del regolamento UE 2017/1001, che al paragrafo 1 lettera f) richiama, quale fattore escludente la possibilità di registrazione, appunto la contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume, anche se, per vero, il predetto regolamento, non detta una definizione puntuale di ordine pubblico. Pertanto, al momento della valutazione si deve far riferimento ai diversi valori e sensibilità che ciascuno dei vari Stati Membri dell’Unione Europea esprime.

L’EUIPO infatti in considerazione del fatto che in alcuni Stati membri, da diversi anni, è vietato l’uso e il consumo di cannabis – sia al fine di perseguire il sacrosanto obiettivo di tutela della salute pubblica, che, come è facilmente intuibile, rappresenta un elemento fondamentale del sistema di valori presente all’interno ogni singolo Stato, sia allo scopo non meno nobile di contrastare il traffico illecito transnazionale di sostanze stupefacenti – si è sintonizzato sulla stessa lunghezza d’onda in ragione dell’oggettivo ed irrefutabile presupposto che il regime applicabile al consumo e all’uso della cannabis rientra a pieno titolo nella nozione di ordine pubblico. Difatti la lotta al narcotraffico rientra nel novero delle materie di intervento del legislatore Europeo.

La signora C., nonostante il secondo responso negativo, ha impugnato la decisione e ha proposto gravame nei confronti dell’EUIPO avanti al Tribunale UE, e ha eccepito che il rinvio e il riferimento ad un prodotto illegale del proprio marchio non sono ex eis elementi sufficienti a far dichiarare la domanda di marchio contraria all’ordine pubblico, atteso che il segno de quo non contiene alcun elemento che, nell’ambito dell’uso normale per i prodotti ed i servizi oggetto della richiesta, possa costituire un’incitazione all’uso o al consumo della marijuana.

La signora C. ha altresì, contestato che l’immagine negativa derivante dalla percezione del marchio non è in ogni caso un elemento significativo per poter affermare la contrarietà all’ordine pubblico del segno distintivo e quindi negarne la registrazione.

L’EUIPO, ovviamente, si è opposto con controricorso e ha chiesto il rigetto della domanda avversaria.

Il Tribunale, dopo attenta disamina, ha respinto le richieste della ricorrente, rigettato il ricorso e confermato integralmente la decisione dell’EUIPO.

L’iter decisionale del Tribunale UE

Il Tribunale, nel decidere la controversia in oggetto, è innanzitutto partito dall’analisi della normativa comunitaria in materia di marchi ed in specie dell’articolo 7, par. 1, lett. f), del regolamento UE 2017/1001.

L’articolo de quo, come in precedenza ricordato, al paragrafo 1 elenca gli impedimenti assoluti alla registrazione di un marchio e alla lettera f) indica nello specifico come impedimento alla registrazione la contrarietà del segno distintivo all’ordine pubblico e al buon costume.

La disposizione normativa europea precisa inoltre che, perché si giunga al diniego di registrazione di un marchio, si deve verificare un’ipotesi di impedimento assoluto nell’ambito territoriale anche di un solo Stato dell’Unione Europea. Ne consegue che per negare la registrazione è sufficiente che una situazione di impedimento assoluto sia prevista come tale all’interno di un singolo Stato Membro.

L’Organo Giudicante, valutato il concetto di territorialità, ha poi considerato l’interesse generale sotteso all’impedimento assoluto alla registrazione previsto dall’articolo 7, par. 1, lett. f), del Regolamento UE 2017/1001 in correlazione con il concetto di ordine pubblico. Pertanto, per comprendere se il segno distintivo oggetto di giudizio sia posto in violazione del Reg. UE 2017/1001, ovvero contrario al concetto di ordine pubblico ad esso sotteso, si è focalizzato sull’aspetto della percezione del segno stesso come marchio, da parte del pubblico di riferimento situato all’interno territoriale dell’Unione Europea o soltanto in una parte di esso.

Nell’effettuare tale valutazione, l’Organo Giudicante ha ritenuto che il concetto di pubblico di riferimento vada, di conseguenza, esaminato sulla base dei criteri di pertinenza dei soggetti dotati di ragionevolezza e di normale sensibilità e tolleranza.

Ne discende, come logico corollario, che il concetto di pubblico cui riferirsi non deve essere preso in considerazione solo all’ambito cui sono direttamente destinati i prodotti ed i servizi per i quali è stata richiesta la registrazione, ma necessita di essere riportato e riferito anche agli altri soggetti, i quali, pur non essendo interessati a tali prodotti e servizi, si possono, in ogni caso, trovare accidentalmente al cospetto del segno de quo nella loro vita quotidiana.

Oltre a questo profilo, il Giudice Europeo ha considerato un ulteriore e non secondario elemento, ossia il fatto che la percezione di un segno come contrario all’ordine pubblico o al buon costume non è valutato in egual misura in tutti gli Stati membri, ma può variare in base a fattori linguistici, storici, sociali o culturali di ogni singolo Stato.

Ne consegue che per l’applicazione in concreto dell’impedimento assoluto alla registrazione ex articolo 7, par. 1, lett. f) del Regolamento UE 2017/1001, è dunque necessario valutare sia le circostanze comuni a tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, sia le circostanze peculiari di taluni Stati membri singolarmente considerati, e che possono influenzare la percezione del pubblico di riferimento situato nell’ambito spaziale anche di un singolo Stato membro dell’Unione Europea.

Pertanto, il Tribunale UE si è chiesto come sarebbe stato percepito dal pubblico di riferimento il segno de quo, e cioè, in pratica, se avvertito lo stesso correlabile o meno ad una sostanza stupefacente illegale.

In ragione di ciò, e per giungere alla conclusione a cui è pervenuto, l’Organo Giudicante è partito dall’analisi etimologica del termine “cannabis” precisando che tale parola può avere tre significati differenti.

Il termine “cannabis” può infatti indicare:

  • la marijuana, ossia una sostanza stupefacente proibita in un gran numero di Stati membri dell’Unione Europea;
  • una sostanza ad uso terapeutico, anche se tale uso è molto discusso in gran parte degli Stati Membri;
  • la canapa ossia una pianta tessile.

Ne consegue che se ci si sofferma astrattamente sull’analisi etimologica del termine “cannabis” va riferito che esso non può automaticamente intendersi come riferito alla sostanza stupefacente illegale, a meno che non sussistano ulteriori indizi in grado di dimostrare che il pubblico di riferimento possa associare il segno ad un prodotto illecito.

Il Giudice Europeo, sulla scia di quanto sopra – giusta quanto peraltro, correttamente evidenziato nel proprio decisum – ha ritenuto le probabilità per il consumatore medio di numerosi Stati dell’Unione Europea di interpretare la parola “cannabis” come riferita alla marijuana, essere plurime e tutte di non secondario momento, viepiù che il segno oggetto della domanda di registrazione infatti, oltre che contenere la rappresentazione grafica stilizzata della foglia di cannabis e che costituisce il simbolo mediatico della marijuana, contiene anche il termine medesimo.

La parola cannabis, nel caso di specie, è poi associata sia alla parola “Amsterdam” che richiama inevitabilmente la capitale olandese nella quale sono presenti numerosi punti vendita (coffee shops) di marijuana, sia alla parola “store” che significa boutique o negozio.

Il Tribunale UE, attraverso questa assonanza tra parole e simboli, ha ritenuto che il pubblico di riferimento, che peraltro non è composto di soli giovani, potrebbe essere indotto a pensare che i prodotti e/o i servizi commercializzati con il prefato segno coincidano con quelli proposti da un negozio di sostanze stupefacenti.

Inoltre il Tribunale adito, pur riconoscendo che i prodotti derivati dalla cannabis aventi tenore di THC (tetraidrocannabinolo) inferiore allo 0,2% non sono da considerarsi sostanze stupefacenti e che la sostanza psicotropa è ricavata esclusivamente dai fiori femminili della pianta, ha ritenuto che i consumatori di cannabis potrebbero comunque essere fuorviati dalla combinazione dei diversi elementi che compongono il segno distintivo de quo, in considerazione altresì del fatto che i consumatori medesimi proprio per appartenere a contesti socio culturali di differente livello e qualità, non posseggono tutti conoscenze scientifiche e/o tecnicamente adeguate in merito alla cannabis come sostanza stupefacente.

Effettuata la valutazione circa il pensiero e l’orientamento del pubblico di riferimento, il Tribunale UE si è concentrato sull’aspetto relativo all’ordine pubblico e ha constatato come in numerosi Stati membri dell’U.E. il consumo od utilizzo di cannabis, comunque oltre ad una determinata soglia, è vietato perché illegale.

Il divieto all’uso della cannabis secondo l’Organo Giudicante è diretto a tutelare gli interessi che gli Stati membri ritengono fondamentali secondo il proprio sistema di valori, i cui pilastri sono la tutela della salute e la lotta al narcotraffico. Ne consegue che il regime applicabile al consumo della sostanza rientra a pieno titolo nella nozione di ordine pubblico ex articolo 7, par. 1, lett. f), del regolamento UE2017/1001.

A sostegno di tale raggiunta risultanza paradigmatica, il Giudice europeo ha richiamato sia l’articolo 83 TFUE, secondo cui il traffico illecito di stupefacenti rappresenta una delle sfere di criminalità particolarmente gravi di dimensione transnazionale in cui è previsto l’intervento diretto del legislatore comunitario, sia l’articolo 168, par. 1, comma 3, TFUE, in forza del quale l’Unione europea ha il compito di completare l’azione dei singoli Stati membri, e, quindi, di contribuire a ridurre gli effetti nocivi per la salute umana derivanti dall’uso di stupefacenti, anche attraverso la promozione di attività d’informazione e di prevenzione.

Pertanto, alla luce di quanto sopra, il Tribunale UE ha deciso – in forza della incidente possibilità di percezione da parte del ricordato pubblico di riferimento di diversi Stati Membri – nel senso di ritenere il segno in discussione dato indicatore del fatto che i prodotti e/o i servizi menzionati dalla ricorrente, adombrino un qualche richiamo a sostanze stupefacenti illegali.

L’Organo Giudicante ha, infine, altresì, messo in risalto che, poiché una delle funzioni di un marchio consiste nell’identificare l’origine commerciale del prodotto o servizio, così da consentire al consumatore di operare la propria responsabile scelta, un segno, quale quello invocato dalla Sig.ra C., per il solo fatto di potere essere percepito dal pubblico come contrassegnante prodotti a base di marijuana, potrebbe sollecitare, ancorché in maniera implicita, l’acquisto di tali prodotti e servizi o, quantomeno, evincere la banalizzazione del consumo. Il che non è giuridicamente consentito. Da qui la corretta decisione di rigetto del ricorso per contrarietà all’ordine pubblico del marchio de quo.

Conclusioni

Il Tribunale UE, con il proprio decisum ha correttamente respinto il ricorso proposto dalla signora C. e ha confermato le valutazioni effettuate dall’EUIPO.

Nel contempo, l’Organo Giudicante ha anche delineato puntualmente il contenuto concreto della definizione e del significato di ordine pubblico nonché il perimetro del concetto di territorialità che l’UE, quale organizzazione internazionale politica a carattere sovranazionale, che, fra le sue finalità teleologiche, ha anche il compito di armonizzare all’interno di una cornice europea, i valori e le diversità proprie di ciascuno degli Stati membri al fine di fornire equilibrate risposte disciplinari alle istituzioni ed ai cittadini dell’Unione.

In funzione di tale obiettivo il Tribunale UE ha correttamente effettuato un’analisi dell’impatto che un prodotto e/o un servizio contrassegnato da un determinato marchio, come è quello della vertenza in oggetto, possa avere sul pubblico di riferimento a livello di ogni singolo Stato Europeo. Ciò è indice di un segnale importante di unità che delinea anche nel settore dei marchi la necessità di uniformare gli Stati membri a garantire la corretta applicazione del principio di armonizzazione.

Nel caso di specie, la valutazione della registrabilità o meno di un segno distintivo si ripercuote altresì sulla tutela della salute che rappresenta uno dei diritti fondamentali di ogni organizzazione statale nonché sulla lotta al narcotraffico transazionale che ad oggi rappresenta uno dei più acerrimi nemici del diritto della salute.

La decisione del Tribunale è quindi il riflesso dell’importanza primaria che rivestono i segni distintivi nei settori delle attività commerciali e di marketing, ossia in quei settori che, oltre a muovere la complessa macchina del mercato e della libera concorrenza, hanno l’obbligo di tutelare i valori ed i diritti fondamentali posti alla base di ogni moderna e civile societas.

a cura dell’avv. Duilia Deflino

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